Tra arte e arte in tavola
Antichi sapori campani
Come e cosa si mangiava in Campania? Potrebbe essere un viaggio affascinante tra le varie epoche che illumina alcuni aspetti della nostra tradizione.
I prodotti della Campania Felix,nominativo appunto ricollegabile alla fecondità dei poderi tra il Volturno e il Sarno, erano famosi fin dalla prima colonizzazione, mille anni prima di Cristo: ortaggi , frutti ,pesce pescato essenzialmente nei pressi delle coste e di Ischia Capri e Sorrento. Da Baia e Pozzuoli partivano le navi onerarie ricche di derrate e vini rinomati. La base della cucina campana era costituita da cereali, legumi, torte di farina cotte sul fuoco vivo (antenate della pizza?) carni bovine e ovine, pesci di poco costo aromatizzati con erbe. Sulle tavole campane si serviva la prima polenta, una focaccia composta da farina gherigli di noci sbucciate semi di sesamo miele e cannella chiamata Gastritis oppure il Basjma una specie di pan dolce ateniese fatto da farina, miele, uova, fichi secchi e noci.
Con l’arrivo dei Romani l’alimentazione campana cambiò diventando più ricca. Gli stessi patrizi romani si costruiscono case di villeggiatura sul litorale campano creando dei vivai di pesci ,triglie, sogliole, murene e spigole e riserve di caccia. Si sviluppa l’uso delle salse romane per pesci e carni, le cui ricette furono tratte dal re coquinaria del nobile Marco Gavi Apicio. In verità gli Apici furono tre: il primo visse ai tempi di Tiberio,il secondo istituì a Roma la prima scuola di cucina e scrisse i dieci libri del Re coquinaria, il terzo inventò il modo di conservare le ostriche.
I nostri antenati per condire usavano l’olio; il burro era relegato alla funzione di unguento e medicinale. Per dolcificare usavano il miele, per companatico pesce, pollame, cacciagione, carne di maiale e raramente vitello. Si usavano cipolle, aglio, zucche cavoli ecc. mele pere uva noci, fichi e Lucullo, ritornando dall’Asia, iniziò la coltivazione di una pianta che aveva portato con sé: il ciliegio
Per le bevande si usava l vino spesso annacquato o acqua tiepida. In Campania, infatti, la coltura della vite è antichissima: prima gli etruschi e poi i greci coltivarono vigneti di pregio.
Tito Livio cita il torrone d Benevento. Un composto di albume d’uovo, mandorle e nocciole. Un altro dolce antichissimo che risale addirittura alla colonizzazione greca a Napoli è il Susamiello, fatto con sesamo e miele (da qui il nome) e di cui Aistofane ne parla nella “Pace”indicandolo come un dolce che veniva offerto nelle feste nuziali.
In diversi affreschi pompeiani sono dipinti cesti di frutta contenenti fichi e melograni e, nella villa di Poppea ad Oplontis, è rappresentato un dolce, di cui ignoriamo gli ingredienti. Rimanendo ai giorni nostri, si può fa probabilmente risalire al garum romano la colatura di alici tipica di Cetara come potrebbe essere legata al gusto agro dolce della cucina di Apicio l’uso di condire con uva passa la pizza di scarola o le braciole al ragù così come il termine scapee, ovvero le zucchine condite con aceto e menta, potrebbe derivare dal termine ex apicio.
Anche l'impiego del grano nella pastiera, dolce tipico di Pasqua, potrebbe essere legato ai culti di Cerere ed ai riti pagani di fertilità celebrati nel periodo dell'equinozio di primavera. Dal vocabolo greco στργγυλος, stróngylos, che significa "di forma tondeggiante" prendono il nome gli struffoli natalizi. Ed il nome della pizza, infine, deriva probabilmente da pinsa, participio passato del verbo latino pinsere, che vuol dire schiacciare.
Lucullo aveva una splendida villa a Napoli, tra il monte Echia, oggi Pizzofalcone, e l'isolotto di Megaride, dove oggi si trova il castel dell'Ovo. La villa era circondata dal mare, e Lucullo vi aveva fatto costruire vasche per l'allevamento di pesci, in particolare murene, che erano ingredienti per i sontuosi banchetti organizzati dal padrone di casa che resero la villa celebre. Da questi banchetti ebbe origine l'aggettivo luculliano, per indicare una cena molto abbondante e deliziosa.
Dai resti di cibo trovato carbonizzato a Pompei si è confermato che l’alimentazione dei pompeiani era a base di verdura, frutta e pane. Non mancavano il pesce e la carne, soprattutto di pecora e di maiale. Per insaporire i cibi utilizzavano erbe aromatiche, come l’alloro utilizzato anche in campo medico e come pianta decorativa.
Nelle botteghe si vendevano in grande quantità frutta e verdura al punto che Plauto definì i romani “mangiatori di erbe”.. Per avere gli ortaggi anche durante l’inverno si conservavano in salamoia oppure in aceto, mentre la frutta veniva essiccata e immersa nel miele.
Molto diffuso anche il pane, presente già nel II secolo a. C. Gli studiosi hanno scoperto che i panettieri pompeiani sfornavano almeno dieci tipi di pane, più uno speciale biscotto che veniva utilizzato come cibo per cani.
Angela D’Agostino
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