Stefano Sparano da Caiazzo un notevole artista del cinquecento meridionale.
Nacque a Caiazzo, un piccolo centro in Terra di Lavoro, e, il primo documento concernente alla sua attività risale al 1506 mentre l’ultimo, quello che ci informa che è ancora in vita, del 1545, ne fa ipotizzare la nascita verosimilmente tra il terzultimo e il penultimo decennio del XV secolo. Stefano Sparano, pertanto, esordì durante gli ultimi anni della dominazione aragonese e dispiegò la sua attività nella Napoli vicereale.
Importante per ricostruire la carriera del caiatino è la lettera scritta nel 1524 dal pontaniano Pietro Summonte all’erudito veneziano Marcantonio Michiel nella quale egli dichiara Che«…sono oggi alcuni de’ nostri che cominciano con buona indole: Andrea di Salerno e Stefano di Caiazza».
Illustrativa, la mancata menzione di artisti quali Antoniazzo Romano, Pietro Befulco, Francesco Cicino, Cristoforo Faffeo, Antonio Rimpatta, Antonio Pirri ed altri “quattrocentisti” ancora attivi nel primo Cinquecento, come Cristoforo Scacco, Vincenzo de Rogata, etc.
Sparano avviò anche con qualche anno di anticipo la sua bottega rispetto al Sabatini e comprese subito che Napoli era il centro migliore per stanziare un’attività, e fu tra i primi a prender con sé (probabilmente per la grande quantità di opere commissionate, oltre che per la stima di cui godeva) dei giovani apprendisti.
Il caiatino, poi, decise di assicurarsi una fetta di acquirenti nelle diverse province regnicole proponendo prodotti moderatamente “alla moda”. Si trattava di opere di buona fattura e in qualche modo “rassicuranti”, perché tradizionali nella scelta dell’impaginazione e nell’uso dei consueti sfondi d’oro. Una carriera per certo costellata da una produzione abbondante la sua, estesa sino alle province cilentane e lucane. Per di più le sue opere, se messe a confronto stilistico, dimostrano d’essere modello per il Sabatini ante 1512, oltre che per una serie di artisti provinciali.
La sorte ha voluto però che, a differenza del Salernitano, gran parte delle sue opere andassero distrutte o disperse. Da qui anche il poco spazio riservatogli dalla critica negli ultimi quattro secoli e le discrepanze nella definizione del suo stile. Inoltre, probabilmente i suoi allievi non furono in grado né di diffondere efficacemente la sua maniera tradizionalista, né di aggiornarlo rispetto a quelli della vasta bottega sabatiniana. Piuttosto lo banalizzarono e lo semplificarono ulteriormente. Lo stile sabatiniano ebbe grande successo perché divenne eccentrico nelle forme, via via sempre più accattivante. Le lezioni di Andrea da Salerno si svilupparono e vissero autonomamente dal loro maestro ispiratore. Per lo Sparano, almeno quello a noi noto, questo non accadde.
Nel 1619 il cronista Ottavio Melchiorri descrive Caiazzo, come luogo di arti e cultura, località che vantava ben due Accademie letterarie e svariati circoli artistici. Uomini illustri, artisti ed insigni giuristi vi s’incontravano per coltivare gli otia letterari. L’erudito cita, con grande enfasi, tre maestri: Andrea di Zuccaro, Bernardino de Laurentis e Stefano Sparano.Importante per ricostruire la carriera del caiatino è la lettera scritta nel 1524 dal pontaniano Pietro Summonte all’erudito veneziano Marcantonio Michiel nella quale egli dichiara Che«…sono oggi alcuni de’ nostri che cominciano con buona indole: Andrea di Salerno e Stefano di Caiazza».
Illustrativa, la mancata menzione di artisti quali Antoniazzo Romano, Pietro Befulco, Francesco Cicino, Cristoforo Faffeo, Antonio Rimpatta, Antonio Pirri ed altri “quattrocentisti” ancora attivi nel primo Cinquecento, come Cristoforo Scacco, Vincenzo de Rogata, etc.
Sparano avviò anche con qualche anno di anticipo la sua bottega rispetto al Sabatini e comprese subito che Napoli era il centro migliore per stanziare un’attività, e fu tra i primi a prender con sé (probabilmente per la grande quantità di opere commissionate, oltre che per la stima di cui godeva) dei giovani apprendisti.
Il caiatino, poi, decise di assicurarsi una fetta di acquirenti nelle diverse province regnicole proponendo prodotti moderatamente “alla moda”. Si trattava di opere di buona fattura e in qualche modo “rassicuranti”, perché tradizionali nella scelta dell’impaginazione e nell’uso dei consueti sfondi d’oro. Una carriera per certo costellata da una produzione abbondante la sua, estesa sino alle province cilentane e lucane. Per di più le sue opere, se messe a confronto stilistico, dimostrano d’essere modello per il Sabatini ante 1512, oltre che per una serie di artisti provinciali.
La sorte ha voluto però che, a differenza del Salernitano, gran parte delle sue opere andassero distrutte o disperse. Da qui anche il poco spazio riservatogli dalla critica negli ultimi quattro secoli e le discrepanze nella definizione del suo stile. Inoltre, probabilmente i suoi allievi non furono in grado né di diffondere efficacemente la sua maniera tradizionalista, né di aggiornarlo rispetto a quelli della vasta bottega sabatiniana. Piuttosto lo banalizzarono e lo semplificarono ulteriormente. Lo stile sabatiniano ebbe grande successo perché divenne eccentrico nelle forme, via via sempre più accattivante. Le lezioni di Andrea da Salerno si svilupparono e vissero autonomamente dal loro maestro ispiratore. Per lo Sparano, almeno quello a noi noto, questo non accadde.
Dei primi due non fornisce dati relativi ai lavori compiuti, ma sullo Sparano (citato con accenti forse sin troppo lusinghieri) ci informa dell’esistenza di due tavole nel Duomo di Caiazzo, rappresentanti i Santi Stefano e Ferrante. Cita anche “altre opere sue in altri luoghi”, tra le quali una icona nella chiesa di S.Lorenzo Maggiore a Napoli. Nelle poche righe del Melchiorri è menzionato anche un discepolato dello Sparano presso la bottega di Raffaello a Roma. Questa puntualizzazione è accreditata dalla critica come mero espediente “agiografico” volto a eguagliarlo al rivale Andrea Sabatini.
Nel 1885, il principe di Satriano Gaetano Filangieri pubblica, nel terzo volume dei suoi Documenti…, ben otto testimonianze d’archivio dell’attività di Stefano Sparano.
Delle opere di Sparano citate, oltre al famoso trittico tutt’oggi esistente nella chiesa di S. Antonio a Portici (1513), opera fondamentale perché punto di partenza indiscusso per la ricostruzione critica, è stata riconosciuta dagli studiosi novecenteschi anche il polittico, testimone della fase “centrale” dell’evoluzione stilistica di Sparano, commissionatagli per il monastero dei SS.Pietro e Sebastiano a Napoli. Opera sulla quale Filangieri è dubbioso riguardo alla paternità, sia per lo stile differente rispetto all’inconfutabile opera porticense, sia per le misure discordanti da quelle riportate dal documento d’esecuzione del 1507.
Perduta o andata distrutta è invece l’altra opera citata nei documenti (1509), commissionata al pittore dall’abate Tommaso Sersale per una cappella del Duomo di Sorrento. A tal proposito il Filangieri ipotizza che la cappella Sersale, cui era destinata l’opera, fosse quella al lato sinistro dell’altare maggiore, dalla parte dell’Evangelo.
Nel 1907 il Borzelli ci fornisce indirettamente, attraverso un articolo nel quale sono trascritti gli atti di un processo al pittore Pietro Negroni, tenutosi nel 1545 a Napoli, un prezioso dato relativo agli ultimi anni della carriera dello Sparano.
Tra la serie di persone convocate in veste di testimoni dalla parte avversa al Negroni, ecco sfilare nel tribunale tra gli altri anche “lo magnifico Messere Stefano pintore de Cayacia…”. Tale documento dimostra che, non solo, il nostro artista era ancora in vita negli anni quaranta del XVI secolo, godendo di grande fama e rispetto nella capitale regnicola, ma che resta, enigmaticamente, ancora un venticinquennio della sua attività su cui far luce.
Ritroviamo il nome del pittore all’interno della monumentale opera del Bénézit del 1921, Dictionnaire critique et documentaire des peintres, sculpteurs, dessinateurs et graveurs. Si tratta, tuttavia, di una brevissima menzione di scarsa utilità.
Nel 1925 il Nicolini, noto per aver pubblicato integralmente la lettera del Summonte a Marcantonio Michiel (1524), per primo evidenzia l’anacronismo annidato nella notizia del Summonte riguardo ai due “giovani de’ buona indole” e la curiosa sinteticità del Summonte nei confronti dell’arte locale successiva a Colantonio. Secondo lo studioso l’erudito avrebbe elencato velocemente solo alcune “annotazioni” sugli altri artisti locali, perché spinto dalla foga di concludere una faticosa lettera scritta dopo una lunghissima malattia che lo costrinse a letto per mesi.
Tuttavia la vena da impetuoso archivista del Nicolini fa sì che questi non riesca a spiegarsi come il Summonte abbia potuto ritenere dei “principianti” Andrea da Salerno e Stefano Sparano, invece suoi contemporanei, pur sapendo che il Sabatini nel 1524 era quasi alla fine della sua carriera (sarebbe morto infatti nel 1530), e che Sparano era in piena fase di maturazione artistica almeno un decennio prima che la lettera fosse scritta.
Gli spunti del Nicolini furono ripresi dall’Ortolani nel 1933.
Nel mastodontico dizionario di Thieme e Becker (1937), ancora, alla voce relativa allo Sparano corrisponde una menzione piuttosto stringata e fumosa.
Gli studi del Bologna, del Causa e del Previtali ci mostrano la cultura napoletana cinquecentesca, come uno scambio continuo con quella romana e collocano Napoli, la capitale del Viceregno in una dimensione paritetica rispetto ad altri centri di elaborazione artistica.
Nel catalogo curato dal Bologna, nel 1955, il pittore è letto al pari del “Maestro di Angri” (siamo ancora lontani dalla lettura che lega Sparano alla grazia peruginesca) come seguace del quadraturismo scacchesco; secondo il Bologna ne sono una prova i due polittici provenienti dal Duomo di Salerno, portati all’epoca in mostra e proposti forse come di Sparano. I polittici in questione sono arricchiti, a suo parere, dai modi umbri-emiliani importati al quel tempo a Napoli dal Ripanda (che a Napoli, attenzione, non giunse mai!). Bologna ascrive al Caiatino, quali opere della giovinezza, anche una piccola tavoletta di Oxford e due tavole in S. Maria della Carità a Napoli.
Nel 1957 Raffaello Causa riconoscerà nello stile del nostro pittore una commistione particolare tra il quadraturismo scientifico di Scacco e la predilezione lussuosa per gli ori e i decori di origine umbro-marchigiana
Il Causa, a differenza del Bologna, non attribuisce a Sparano i due polittici del Duomo di Salerno, e propone, anche se con la dovuta cautela, l’attribuzione di un’altra opera: il mutilo trittico di Montesarchio.
Nel 1963 l’erudito locale Dante Marrocco sarà d’accordo col Causa nel ritenere di Cicino le opere di Piedimonte, e ne aggiungerà notizie sulla provenienza “…da S. Giovanni vi furono portate cinque tavole rinascimentali che nel 1935 furono trasferite nell’ancora semivuota nuova chiesa di S. Maria Maggiore”.
In effetti, fu facile confondere la più antica produzione di Sparano per le cose del conterraneo, e primo maestro, Cicino. Le fastose cornici decorate con motivi a candelabre, le Vergini dai volti pieni e dalle palpebre gonfie, le espressioni dolci e le labbra a forma di cuore, i santi vestiti di stoffe che quasi sembran carta tanto son taglienti nei lembi, le attitudini leggermente arretrate rispetto al trono ma monumentali e statici nell’impacciato hanchement, son tutti elementi derivanti da un Cicino impregnato dell’autentica lezione umbro-laziale.
Nel 1972 Francesco Abbate aggiunse a Sparano sei nuove attribuzioni: la Madonnna col Bambino tra i SS. Giacomo e Margherita e l’Annunciazione, collocati nel duomo di Piedimonte Matese ; una icona nella chiesa dell’Annunziata ad Aversa raffigurante la Madonna col Bambino e le SS. Caterina d’Alessandria e Maddalena e, infine due Sante conservate nella Pinacoteca dei Gerolomini a Napoli. Stefano Sparano emerge finalmente come figura dalla personalità ingegnosa, bizzarra e sottile, la cui poetica si dispiega, nell’uso simultaneo di arcaismi tipici di Scacco e Antoniazzo, nell’interesse per Crivelli , nei profili aguzzi alla Vivarini, nei bilanciati contorni alla Perugino.
Ancora nel 1972, Giuseppe Alparone, dopo aver approfondito nel 1969 la figura del pittore Francesco Cicino da Caiazzo, estende il catalogo delle fatiche di Sparano proponendone (pur con qualche riserva!) ben nove inedite. L’Alparone legge lo Sparano ancora nell’ottica di un’adesione al linguaggio quattrocentesco; per lui l’artista è solo superficialmente toccato dal moderno stile dei bolognesi..
Un piccolo accenno al Caiatino è presente nei cataloghi d’arte regionale curati rispettivamente da Maria Pia Di Dario Guida e Grelle Iusco, si avverte qui la consapevolezza dei limiti dell’arte locale soprattutto se posta a confronto con quella campana.
Grelle Iusco ipotizza che la grande macchina d’altare di Tolve sia di uno Stefano Sparano già influenzato dai modi di Andrea da Salerno, per prima ne pubblica alcune immagini . Il citato polittico presentava inoltre, a suo dire, similitudini con un altro dipinto, conservato nel vicino Duomo di Calvello, forse anch’esso opera di Sparano o comunque riprova della sua forte influenza sugli artisti locali.
D’accordo con l’attribuzione della Grelle Iusco riguardo al polittico di Tolve, Pierluigi Leone de Castris e Paola Giusti che, nel loro testo del 1985, pongono il giusto accento sui meriti artistici del caiatino e stilano un primo organico elenco delle opere dell’artista.
Gli studiosi sottolineano che, anteriormente ai viaggi nell’Urbe, difatti, le opere del Sabatini abbondano di rimandi consistenti agli impianti del suo “avversario” Sparano.
Quando si passa dalle opere della giovinezza a quelle più mature del Sabatini (post 1520) si notano le ragioni dell’interesse maggiore che la critica dimostra nei suoi confronti rispetto a Sparano. Il cambiamento di Andrea è repentino, per cui più interessante fu per la critica cogliere la ricchezza delle sfumature e il continuo sviluppo dei suoi modi a fronte delle esili evoluzioni del collega. La quantità delle sue opere diffuse e conservatesi sul territorio è, infatti, imparagonabile rispetto a quelle di Sparano; elemento questo che gioca a favore di una maggiore conoscenza del Sabatini ancora oggi.
Leone de Castris accresce il corpus dello Sparano attribuendogli un dittico, parte di un polittico più ampio, datato sulla predella 1509, proveniente dalla chiesa di S.Agostino a Padula, rappresentante i S.Giovanni Evangelista e S.Agostino; e il trittico realizzato qualche anno prima (1507) per il monastero di SS.Sebastiano e Pietro a Napoli. Nel contempo furono espunte dal catalogo le due Sante Caterina d’Alessandria e Maddalena dei Gerolamini di Napoli.
Stefano Sparano, Madonna col Bambino in trono e i SS.Pietro e Nicola, trittico (particolare della cimasa), Annunciata, Tolve, Chiesa di S.Nicola Fu pubblicata però, per la prima volta, l’immagine della sciupatissima tavola raffigurante un S.Francesco conservata nella chiesa omonima di Caiazzo. L’Abbate cita apertamente il caiatino come artista inserito a pieno nei meccanismi della committenza lucana, soprattutto per merito della famiglia dei Sanseverino.
Stefano Sparano fu un pittore dalla grande personalità, attento, dinamico, discretamente attuale per il tempo.
Si evolse mantenendo una pregevole coerenza stilistica, e si pose al di sopra degli artisti locali coevi e del suo primo maestro Francesco Cicino.
Due sono le tranches più significative della sua attività: la prima si estende dagli ultimi decenni del XV secolo sino agli anni dieci del secolo successivo, e la seconda si dispiega dal 1510 circa in poi.
Di là dalla cronologia, del giovane pittore va apprezzato l’uso dei colori vivaci, le particolareggiate descrizioni, il delicato languore dei volti, le vesti svolazzanti e lievi, la gamma di colori aspri.
Sparano è capace di render propri, sveltendo e raffinando, gli elementi umbro-laziali senza mai scadere negli standard dei puri effetti decorativi.
Stefano Sparano, Vergine in trono coi SS.Pietro e Paolo, polittico (particolare della cimasa), Deposizione, Amiens, Musée de Picardie
Per la saturazione del mercato regnicolo decide ingegnosamente di proporre nelle zone sub-regnicole i suoi raffinatissimi retabli. Le cornici, dalla carpenteria fortemente fastosa, impaginano le opere di Tolve e di Amiens e mostrano i santi che arricciano’i pesanti manti e mostrano simboli iconografici. Vige, nei suoi quadri l’atmosfera tenue e d’incanto.
Stefano Sparano da Caiazzo creò, inconfutabilmente, col suo stile dolce e soave, una considerevole, anche se ancora dibattuta, influenza nella storia dell’arte meridionale del XVI secolo.
Diffusione delle opere d’artista sul territorio
Catalogo d’artista
I Madonna col Bambino tra i SS.Giacomo e Margherita
Piedimonte Matese, Chiesa di S. Maria Maggiore
(databile primi del XVI sec.) Cm 230 x 160; Olio su tavola
II Annunciazione
Predella. Deposizione di Cristo
Piedimonte Matese, Chiesa di S. Maria Maggiore
(databile primi del XVI sec. ); Cm 230 x 160; Olio su tavola
III Immacolata tra i SS.Giovanni Evangelista e Antonio Abate
Predella. Deposizione di Cristo
Piedimonte Matese, Chiesa di S.Maria Maggiore
(databile primi anni del XVI sec.); Cm 230 x 160; Olio su tavola
IV S. Andrea, S.Michele Arcangelo
Napoli, Chiesa di Sant’Angelo a Nilo (in deposito dal 1987 presso il complesso di S. Lorenzo Maggiore )
(databile primo decennio del XVI sec.); Cm 155 x 68; Cm 155x 75; Olio su tavola
V Madonna con Bambino e i SS. Sebastiano e Domenico; nelle cimase l’Annunciazione; nella predella il Volto di Cristo fra le SS. Teresa, Caterina da Siena, Margherita e Cecilia
Napoli, Galleria Nazionale di Capodimonte (prov. Napoli, chiesa SS.Pietro e Sebastiano)
1507 (documentato); Cm 260 x 175 (compl.); olio su tavola
VI S. Giovanni Evangelista, S. Agostino
Predella. Addolorata
Padula (Sa), Chiesa di Sant’Angelo
1509 (datato); Cm 240 x 193 (compl.); Olio su tavola
VII Polittico
Tolve, Chiesa di S.Nicola
(databile 1510-11); Cm 233 x 238 (compl.); Olio su tavola
Cimasa Angelo Annunciante; Cm 33 x 70 – Crocifissione; cm 57 x 72-
Annunciata; cm 33 x 70
Ordine centrale Madonna con Bambino in trono; cm 150x 73 –
S.Pietro; cm 150 x 70 - S.Nicola; cm 150 x 70
Predella S.Antonio Abate, S.Pietro cammina sulle acque, il Redentore, un Miracolo di S.Nicola, S.Sebastiano; cm 50 x 238 (compl.)
VIII Madonna in trono col Bambino
Calvello (Pz), Chiesa di S. Nicola
(databile inizi del secondo decennio del XVI secolo); Cm 120 x 93 (compl.); Tempera su tavola
IX Polittico.
Amiens, Musée de Picardie (in deposito)
Nella cimasa. Angelo Annunciante, Pietà, Annunciata
Ordine centrale. Vergine in trono tra i SS.Pietro e Paolo
Nella predella. Cristo portacroce e i Dodici Apostoli.
(databile inizi del secondo decennio del XVI secolo); Cm 333 x 208 (compl.); Tempera su tavola
X Polittico.
Portici, Chiesa di S.Antonio Abate
Vergine in trono tra i Santi Giovanni Battista e Francesco d’Assisi;
Predella. otto martiri francescani;
1513 (documentato); Cm 182 x 221; Olio su tavola
XI Sant’Andrea, S.Giovanni Evangelista
Napoli, Chiesa di S.Maria della Carità (oggi in deposito presso la Soprintendenza PSAE e per il Polo Museale della città di Napoli)
(databile primo decennio del XVI sec.); Cm 137 x 53 ciascuno; Olio su tavola
XII Madonna del Rosario con Sante Caterina d’Alessandria e Maddalena
Aversa (Ce), Chiesa della SS. Annunziata (oggi in un deposito presso la Soprintendenza BAPPSAE di Caserta e Benevento)
(databile inizi del secondo decennio del XVI secolo); Cm 350 x 200; Tempera su tavola
XIII Redentore
Napoli, Chiesa di S.Domenico Maggiore (oggi in deposito presso il convento di S.Domenico Maggiore)
(databile 1518 ca); cm 80 x 56; Olio su tavola
XIV Madonna col Bambino in trono, S.Francesco d’Assisi
Montesarchio (BN), Chiesa di S.Maria dei frati Minori
(databile inizi secondo dec
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